AGAZIA SCOLASTICO
“Agazia: scolastico, di Mirina, colui che scrisse la Storia dei Cesari come continuazione di Procopio, comprendendo le cose accadute a Belisario e gli eventi d’Italia e Libia; quello che accadde a Narsete in Italia, Lazica ed a Bisanzio. Compose altri libri, sia in versi sia in prosa, inclusi i Daphniakà ed il Ciclo dei Nuovi Epigrammi, che egli compilò raccogliendo composizioni sue e dei poeti del suo tempo. Fu contemporaneo di Paolo Silenziario, del console Macedonio e di Triboniano, nell’età di Giustiniano”.
(Lessico Suda, s.v. Agathias, Alpha 112, ed. Adler).
- Introduzione
Il VI secolo d.C. vide il riaffermarsi non solo della storia profana (dopo il gran proliferare di Storie Ecclesiastiche per tutto il secolo precedente), ma anche dell’epigramma, genere colto e raffinato, che dopo il suo gran fiorire durante l’ellenismo e la prima età imperiale era andato scadendo in un insulso virtuosismo. Punto di contatto tra opera storica ed epigrammatica fu l’attività letteraria dell’avvocato Agazia di Mirina.
- La vita
Le notizie su Agazia (o, più correttamente, Agatia) ci derivano esclusivamente da quanto egli stesso ci narra di sé. Nacque a Mirina (chiamata anche Sebastopoli) in Eolide (Asia Minore occidentale) nel 532 d.C. circa; suo padre, Memnonio, era un retore, sua madre, Pericleia, morì a Bisanzio quando egli aveva tre anni. Compì i suoi studi ad Alessandria d’Egitto, visitò Cos e Tralle, quindi si trasferì a Costantinopoli (intorno al 554) dove finì l’apprendistato divenendo scholastikos (cioè avvocato). Nella Capitale entrò presto in intimità con personaggi molto illustri e legati alla corte, tra questi il poeta e funzionario Paolo Silenziario, di cui sposò una figlia, e l’ex console Macedonio di Tessalonica, “ma sembra che il livello di conoscenza di Agazia fosse limitato ad una stretta consorteria di poeti e letterati e nulla suggerisce che fosse in diretto contatto con qualcuna delle importanti figure politiche e militari dei suoi giorni. Inoltre la mancanza di un ufficiale patronato di cui egli si lamenta così amaramente fornisce un’ulteriore indicazione che egli rimase sempre qualcosa di estraneo” [1]. Nonostante i molti impegni legati alla sua professione, Agazia si dedicò attivamente alla letteratura, compose infatti dei carmi su miti erotici che intitolò Daphniakà ma che non ci sono pervenuti. Quindi raccolse una silloge di epigrammi intitolata il Ciclo in sette libri dove riunì non solo i suoi componimenti ma anche quelli dei suoi contemporanei (ad iniziare da suo suocero Paolo e da Macedonio). L’ultima opera da lui composta fu a carattere storico: proseguendo il filone rinvigorito dal lavoro di Procopio di Cesarea, scrisse la Storia dell’impero di Giustiniano in cinque libri che illustra gli eventi dal 552 al 559. Incerta è la data di morte posta da alcuni nel 580, da altri nel 582 d.C. [2]; gli unici dati certi sono che l’autore ricorda la scomparsa del re Cosroe, avvenuta nel 579 (ed è l’ultima data ricordata nella sua opera), ma parla del futuro imperatore Maurizio semplicemente come di “Maurizio, figlio di Paolo” [3], questo fa supporre che non abbia assistito all’incoronazione del generale, divenuto imperatore nel 582; forse fu proprio la morte a bloccare la stesura delle Storie.
- Le opere
- Daphniakà
L’attività letteraria di Agazia si rivolse in un primo momento alla produzione in versi, nelle Storie (Prefazione, 7) ricorda che, oltre le due raccolte maggiori, compose anche altri componimenti. I Daphniakà fu, probabilmente, la prima opera poetica composta dal nostro avvocato, e doveva contenere carmi basati su miti erotici in metro epico in nove libri; purtroppo la raccolta è andata perduta e non possiamo valutarla, le poche notizie che possediamo derivano da questo epigramma dello stesso autore:
“Dafniche, libri nove d’Agatia: l’opera è questa.
L’autore a te mi dedica, Ciprigna.
(Io che abbraccio di tante passioni i misteri, ad Amore
ben più che alle Pieridi sto a cuore).
Premia gli sforzi d’Agatia così: fa’ tu che non ami
o sia l’amata rapida alla resa” [4].
- Il Ciclo dei Nuovi Epigrammi
Meglio informati siamo sulla seconda opera composta da Agazia: pubblicata, forse, sotto Giustino II intorno al 567, secondo il Lessico Suda aveva il titolo di Ciclo dei Nuovi Epigrammi; l’autore lo assemblò pensando che fosse “un impegno encomiabile e non sgradevole creare una collezione la più completa possibile di quegli epigrammi recenti e contemporanei che erano finora sconosciuti ed indiscriminatamente mormorati sulle labbra di alcuni e di pubblicarli appropriatamente classificati e disposti” (Prefazione alle Storie, 8). Neanche questo testo è pervenuto ma lo conosciamo in modo approfondito perché fu impiegato in seguito dall’autore dell’Antologia Palatina che, tra l’altro, conservò nel IV libro della raccolta le tre prefazioni del Ciclo.
Contrariamente all’uso delle precedenti raccolte in cui gli epigrammi erano posti in ordine alfabetico, nel Ciclo i componimenti (secondo il metodo introdotto, probabilmente, da Posidippo di Pella nel III sec. a.C. nei suoi Epigrammi [5]) furono riuniti in base all’argomento (metodo che divenne d’allora abituale) e divisi in sette libri. Oltre a riprendere gli autori dei secoli passati, nella sua raccolta Agazia riunì i componimenti suoi e dei suoi contemporanei. Almeno 23 epigrammisti del VI sec. trovarono spazio nel Ciclo, di quattro o cinque ignoriamo il nome, tra gli altri, i principali (oltre Agazia stesso) furono: Giuliano Egizio, Leonzio Scolastico, il console Macedonio, e Paolo Silenziario.
Gli epigrammi furono collocati secondo la “tecnica dell’associazione” (risalente a Meleagro): da un lato si nota, infatti, che il raggruppamento dei componimenti è basto sul principio di un ritorno ciclico degli epigrammisti maggiori, intervallati dai poeti con una produzione meno abbondante, dall’altro i vari brani sono uniti tra loro dall’identità o dal contrasto dell’argomento, per il ricorrere in essi d’una stessa parola o d’una identica frase (si vedano, ad esempio, gli epigrammi 216 – 302 del libro V della Palatina che, secondo la critica, provengono dall’opera del nostro [6]).
Nel primo proemio, in trimetri giambici, Agazia si paragona ad un cuoco che imbandisce varie leccornie poetiche per il pubblico. Il secondo testo (introdotto da cinque trimetri) celebra, per mezzo di esametri epici, la Pax romana instaurata nel mondo dalle imprese del sovrano (un tempo si pensava a Giustiniano I ma forse si tratta di Giustino II [7]). Proprio grazie alla pace il poeta ha potuto comporre il Ciclo che è dedicato al decurione Teodoro, figlio di Cosma, ed è diviso in sette sezioni. La terza prefazione, cinque distici elegiaci, esalta l’eternità delle opere dell’ingegno umano oltre la morte.
Come detto, il Ciclo in quanto tale non c’è pervenuto. Nel X sec., l’erudito Costantino Cefala compose, partendo da questa raccolta, un nuovo canzoniere in cui confluirono non solo gli epigrammi raccolti da Agazia ma anche quelli dell’età precedenti. A sua volta la silloge di Cefala fu la base per l’Antologia Palatina (intorno all’XI sec.) e per la Planudea (nel XII sec.) dentro cui l’opera di Agazia e degli altri epigrammisti del VI sec. è pervenuta fino a noi. Nella Palatina si conservano cento epigrammi attribuiti ad Agazia, questi brani “rivelano il letterato, talora pedante talora grazioso, che si attarda sui motivi tradizionali già consacrati nel genere dall’ellenismo, ma quelli d’amore rivelano sentimenti veri e sentiti. Nella metrica, nel lessico e nello stile si sente l’influsso nonniano” [8].
Questo giudizio è, nel complesso, accettabile. Come poeta Agazia si dimostra ben ferrato nei miti, esperto dello stile e delle innovazioni metriche apportate intorno al V secolo da Nonno di Panopoli. Amante delle descrizioni e del narrare, il nostro compone epigrammi di vari versi (nessuno dei cento pervenuti è monodistico), anche molto lunghi (paragonabili quasi a piccole elegie piuttosto che ad epigrammi), si lascia facilmente andare al moralismo o al riserbo (nei componimenti erotici), anche se non mancano crudezze realistiche (ad esempio i componimenti 269, 289 e 294 del V libro della Palatina) o fini rievocazioni (epigrammi V, 237 e 285).
I difetti che si possono attribuire alla poetica di Agazia (quali, ad esempio, la ripetitività dei temi e dei contenuti) non sono, comunque, imputabili solo a lui, ma anche a tutti gli altri epigrammisti, suoi contemporanei o meno. Il genere dell’epigramma, infatti, molto sfruttato dal suo apparire nell’VIII sec. a.C., mostra sempre i suoi limiti e tende a bloccare i poeti che vi si dedicano in una prigione di già visto e di già letto che è difficile da scardinare.
- La Storia dell’impero di Giustiniano
L’opera principale di Agazia, e l’unica che ci sia pervenuta integra, è la Storia dell’impero di Giustiniano. L’autore ricorda che fu sollecitato a scriverla dall’eccezionalità delle guerre che avevano colpito l’Impero (motivazione totalmente diversa, quindi, dall’esaltazione della Pax romana che l’aveva invogliato a comporre il Ciclo, seppur in linea con la giustificazione topica usata da tutti gli storici, fin da Erodoto, secondo cui gli eventi da loro trattati erano i più grandi ed eccezionali mai accaduti) e dall’insistenza dai suoi amici, tra cui un certo Eutichiano, della famiglia di Floro, segretario imperiale (Prefazione, 10-11) e la iniziò dopo la morte di Giustiniano e la salita al trono di Giustino II (565 d.C.). Il Lessico Suda la ricorda con il titolo di Storia dei Cesari, mentre i manoscritti recano Sull’impero di Giustiniano. L’opera è in cinque libri e ricopre il periodo tra il 552 ed il 559, riallacciandosi al punto in cui si chiudeva l’ottavo libro delle Storie di Procopio (guerra in Lazica tra l’Impero e la Persia in Oriente, e morte di Teia, ultimo re dei Goti, in Italia). Partendo da questo punto Agazia (che ammette espressamente di voler proseguire l’opera del retore di Cesarea) narrava gli eventi finali della Guerra Gotica e le campagne di Narsete contro i Franchi e gli Alamanni.
Il versante orientale era, però, quello che maggiormente interessava il nostro storico: ampio spazio è riservato al regno di Persia a cui sono dedicate due ampie digressioni (la prima, nel libro II si occupa della religione persiana e del Gran Re Cosroe I, la seconda, nel libro IV, è rivolta alla cronologia della dinastia Sassanide). Per comporre questi excursus Agazia si avvalse dell’aiuto del suo amico Sergio che (conoscendo il persiano) tradusse per lui gli Annali Reali Persiani fornendo notizie di prima mano sulla storia del regno di Persia (cosa di cui l’autore si fa gran vanto non essendo la cronologia sassanide mai stata stilata da alcuno storico romano).
Meno informato sembra, invece, per quanto riguarda gli eventi ed i popoli d’Occidente (il suo famoso giudizio sui Franchi, considerati civili ed umani, amanti della giustizia e della patria, che diverge totalmente da quello degli altri storici suoi contemporanei, Procopio per primo, sembra derivare più dal topos letterario sui barbari come brava gente, piuttosto che da conoscenza diretta. Eppure il giudizio critico sugli Alamanni potrebbe far supporre che sia la fede religiosa la vera discriminante, essendo i Franchi cristiani ortodossi e gli Alamanni pagani). Sempre ad Agazia dobbiamo il racconto dei sette filosofi neoplatonici che, lasciata Atene dopo la chiusura della loro scuola nel 529, si recarono per qualche tempo in Persia (II, 31). Purtroppo, come già Procopio prima di lui, il nostro non sembra interessato, o non è informato, alla situazione nella penisola iberica dove le truppe imperiali, proprio negli anni trattati nelle Storie, erano impegnate nella riconquista contro i Visigoti.
Sebbene non sia un grande scrittore, risulta per questo un po’ noioso, Agazia è certamente un bravo “artigiano”, coscienzioso e preciso (l’aver voluto usare fonti iraniche di prima mano per la storia persiana, cosa rarissima, se non unica, nella storiografia greca e romana, dimostra la sua puntigliosità ed accuratezza nella ricerca di notizie). A volte giunge perfino a correggere il suo modello, Procopio: ad esempio, parlando del comandante gotico Ragnaris (in II, 13-14), Agazia ci tiene a precisare ch’era di nazionalità unna, della tribù dei Vittori, correggendo così lo storico di Cesarea che (in VIII, 26 e 34) aveva presentato il barbaro come di stirpe gotica. Proprio in queste sue qualità risiedono i maggiori pregi della sua opera storica che magari non si fa leggere tutta d’un fiato ma rappresenta una miniera preziosissima per il periodo da essa trattato.
- Lo stile
Abbiamo già parlato dello stile degli epigrammi di Agazia, che risultano molto spesso pedanti (i più graziosi e vitali sembrano quelli di contenuto erotico). Per quanto riguarda le Storie, il nostro ha per modello Procopio, ma risulta “inferiore per capacità critiche, per ampiezza di interessi e per attitudine a dominare la materia. Egli è più retore che storico” [8]. Per questo motivo dedica ampio spazio ai discorsi dei suoi eroi ed alla descrizione delle battaglie, e qui sta la maggior differenza rispetto a Procopio. Mentre quest’ultimo fu presente agli scontri e poté descriverli da testimone oculare (dando di essi descrizioni magari brevi ma da esperto dell’arte militare), Agazia non partecipò a nessuna battaglia e le sue pagine risultano prolisse e piene di topoi letterari sul tema bellico. A volte giunge a modificare la realtà per il gusto della drammatizzazione e del romanzesco (come nel caso di Cheremone di Tralle, in II, 17, 1-8, che nella sua versione diventa un contadino, seppure, da altre fonti risulti essere in realtà un illustre e ricco cittadino di Tralle).
Come Procopio, Agazia abbonda in digressioni ed aneddoti (superando lo scrittore di Cesarea in lunghezza e dettagli quando si parla della Persia), pur cristiano, non si sofferma troppo sul Cristianesimo (sebbene consideri la punizione di comportamenti empi il risultato dell’ira divina), ed esclude, del resto, la Tyche (ben presente in Procopio), dagli eventi storici. Pur tuttavia il suo elogio dei Franchi, di cui apprezza l’ortodossia in campo religioso (rispetto sia agli Goti, ariani, sia agli Alamanni, pagani) potrebbe essere, almeno in parte, dovuto proprio alla “stretta ortodossia” che egli riconosce loro (Storie, I, 2, 4).
“Lo stile è pieno di flosculi poetici, di figure e di locuzioni arcaizzanti, di citazioni erudite. Resta tuttavia notevole per il suo valore storico, poiché egli ci dà notizie militari, geografiche e politiche per cui non abbiamo altre fonti” [10]. “Nonostante le ovvie carenze del loro autore come storico e la rigidità ed affettazione che di frequente danneggia il suo stile, le Storie sono una fonte dettagliata ed importante e non sono del tutto prive di meriti letterari” [11].
- Appendice, struttura delle opere di Agazia
- Il Ciclo
In base al secondo proemio (Ant. Pal. IV, 4) questa era la suddivisione degli epigrammi all’interno dei sette libri:
- Epigrammi anatematici o dedicatori
- Epigrammi epidittici su o per opere d’arte
- Epitimbii (incisi cioè sulle tombe)
- Parenetici (dedicati alla vita mortale)
- Scoptici (rivolti alla satira)
- Erotici
- Simposiaci
- La Storia dell’impero di Giustiniano
- Campagne in Italia del generale Narsete contro i Goti, i Franchi e gli Alemanni (552 – 554 d.C.).
- Fine della campagna di Narsete in Italia e guerra in Lazica contro i Persiani fino alla morte del generale Mermeroes (554 – 555 d.C.); excursus sulla religione persiana e su Cosroe I.
- Guerra in Lazica dalla morte di Mermeroes fino alla vittoria bizantina sul Fasi ed al ritiro persiano (555 d.C.).
- Guerra in Lazica fino alla firma della pace (555 – 557 d.C.). Excursus sulla cronologia della dinastia Sassanide.
- Dal terremoto che colpisce Bisanzio all’invasione degli Unni respinti dal vecchio generale Belisario (557 – 559 d.C.).
- Poeti raccolti nel Ciclo
IV – V sec. d.C.
Ablabio Illustris, Ammonio, Pallada di Alessandria, Teosebea, Tiberio Illustris.
VI sec. d.C.
Agazia Scolastico, Arabio Scolastico, Cometa Cartulario, Damascio, Diogene vescovo, Eratostene Scolastico, Giuliano Antecessore, Giuliano Egizio, Ireneo Referendario, Isidoro Scolastico, Leonzio Scolastico, Macedonio, Mariano Scolastico, Marino di Neapolis, Paolo Silenziario, Rufino Domestico, Stefano (forse), Teeteto Scolastico, Teodoro Illustris.
Di secolo incerto
Metrodoro.
autore: Antonino Marletta
NOTE
[1] J. D. Frendo (a cura di), Agathias, The Histories, trasl. with an introd. and short explanatory notes, pag. x dell’introduzione
[2] Cfr. S. IMPELLIZZERI, La letteratura bizantina da Fozio a Costantino, pag. 235; U. ALBINI – E. V. MALTESE (a cura di), Bisanzio nella sua letteratura, pag. 129
[3] Agazia, Storie, IV, 29, 8
[4] Antologia Palatina, vol. I, pag. 329
[5] Si reputava, fino a qualche tempo fa, che Meleagro di Gadara, attivo nel I sec., fosse stato il primo ad usare questo sistema ma la recente scoperta di un papiro contenente oltre cento nuovi epigrammi di Posidippo, e databile al III sec. a.C., ha modificato le nostre conoscenze in merito, vedi in proposito l’introduzione all’opera di Posidippo, in Posidippo, Epigrammi.
[6] Antologia Palatina, vol. I, pag. xxxv dell’introduzione
[7] Ibidem, pag. 494
[8] S. IMPELLIZZERI, op. cit., pag. 235
[9] Ibidem, pag. 236
[10] Ibidem, pag. 236.
[11] J. D. Frendo, op. cit., pag. x dell’introduzione.
BIBLIOGRAFIA
AGATHIAS, The Histories, trasl. with an introd. and short explanatory notes by J. D. Frendo, (Corpus fontium historiae Byzantinae, vol. 2A), Berlino 1975.
- ALBINI – E. V. MALTESE (a cura di), Bisanzio nella sua letteratura, Milano 2004.
- IMPELLIZZERI, La letteratura bizantina da Fozio a Costantino, Milano 1975
- MONACO, M. CASERTANO, G. NUZZO, L’attività letteraria nell’antica Grecia, Firenze 1992
- M. PONTANI (a cura di), Antologia Palatina, Torino 1978.
POSIDIPPO, Epigrammi, a cura di S. Pozzi e F. Rampichini, Milano 2008.